L'Indro furioso

Pubblicato il da antonio_montanari

Montanelli A cent'anni dalla nascita, 22 aprile 1909, che cosa resta di Indro Montanelli nella cultura italiana?

In una vecchia intervista radiofonica riproposta pochi giorni fa da Radio3, egli stesso diceva di aver studiato bene soltanto la Storia (e di non sapere nulla di Diritto, nonostante la laurea in Legge).
La confessione ha un fondamento di verità al cento per cento. Sono sempre stato un ammiratore del Montanelli storico.
A molti cattedratici la definizione fa venire l'orticaria. Comprensibile il fatto, ma la verità va rispettata.

Leggete una pagina qualsiasi dei suoi tanti volumi della "Storia d'Italia", e avrete la prova di uno che non parla a vanvera, è documentato, sa come si studiano gli argomenti. E soprattutto sa rendere simpatica la materia perché ha sempre un taglio preciso nel presentarne gli aspetti più segreti o strani.

Se nei famosi "Incontri" sulla terza pagina del "Corriere", il giornalista Montanelli inventava particolari per creare il ritratto generale del personaggio presentato, le pagine storiche non concedono scorciatoie. Si potranno discutere i giudizi che egli offre, non mettere in dubbio il percorso  compiuto per arrivare ad essi.

La Storia per lui (come autore) è un Olimpio in cui siede pacificamente, rappacificato con se stesso e con la cronaca.
Invece la cronaca è il tormento, è lo scontro, è il torrente che travolge e ridimensiona il protagonista, quell'Indro furioso beatificato, osannato, vituperato e persino "sparato" dal terrorismo.

Se leggiamo la biografia di Montanelli, di cui è apparso da poco il secondo tomo, composta da Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (Einaudi ed.), ci accorgiamo che l'uomo, il cronista, l'imprenditore-direttore sono meno "controcorrente" di quanto li si vuole accreditare. E non per colpa, forse, dello stesso Montanelli.

Ripesco una lettera che Montanelli scrive il 20 ottobre 1949 da Palermo ad un'amica (fonte, Fondazione Montanelli Basso): "Di questo mio viaggio, ti risparmio la parte descrittiva: l'ho già anche troppo sfruttata nei miei articoli, che Gaetanino Afeltra, ieri sera al telefono, ebbe la bontà di definire «esaurienti». In realtà essi non hanno esaurito nulla, perché le cose più importanti ho dovuto, come sempre, lasciarle nella penna".

Il silenzio come dato di fatto, imposto, non è una colpa da fargli. Ma una diagnosi, rivelata a posteriori da lui stesso. C'est la vie. Nulla di cui scandalizzarsi.

Nel secondo tomo dell'opera di Gerbi-Liucci, si ricostruisce tutta la storia dei rapporti fra Montanelli e Berlusconi. Chiusi dal "clamoroso divorzio" (p. 229).
Non è più una storia personale, diventa l'affresco della politica italiana. Con il più conservatore dei grandi giornalisti italiani, letteralmente schiacciato dall'apparato economico del suo proprietario-padrone.

Dentro questo apparato, appare un Emilio Fede "tra il mellifluo e il sarcastico" (p. 225) che la sera del 6 gennaio 1994 dal "TG4" invita Montanelli "a dare le dimissioni, visto che il rapporto fiduciario con il suo editore è ormai venuto meno", come osservano Gerbi-Liucci.

Paolo Bonaiuti, allora vicedirettore vicario del "Messaggero" (e poi portavoce di Berlusconi), attacca Fede e difende Montanelli: si tratta di "una lezione di intolleranza" che, per le sue "lontane tentazioni da Minculpop", lasciava "sbigottiti".

Vien da ridere nel leggere tutto ciò, ben documentato e messo in pagina da Gerbi-Liucci.
Ma viene anche un fitto velo di tristezza nel sentir parlare (p. 191) dei due "abboccamenti clandestini" avuti da Montanelli con Licio Gelli. Agli autori ne risultata soltanto uno (p. 148), il 24 settembre 1977 in un albergo romano.
L'altro è ammesso dallo stesso Montanelli nel diario dell'anno successivo, dove registra la promessa fatta da Gelli di intervenire su Roberto Calvi, capo del Banco Ambrosiano.

Gelli successivamente (p. 214) dichiara che i soldi dati a Montanelli dall'Ambrosiano (300 milioni), sono merito suo.
"Indro aveva ammesso il finanziamento, ma negato l'intermediazione di Gelli [...] Quest'ultimo era stato condannato a pagare 45 milioni al giornalista" (p. 214, nota 22).
Era il novembre 1992. Nello stesso mese, Montanelli scrive che Berlusconi, il proprietario del "Giornale", "fu iscritto alla P2, ma da privato cittadino". (Nel 2001, il 25 marzo, Montanelli definisce Berlusconi  come persona affetta da "allergia alla verità", e da "voluttuaria e voluttuosa propensione alla menzogna" che riesce a pronunciare con assoluta "naturalezza".)

Tutti i conti tornano, nel discorso giornalistico di Montanelli. Battezzato, nel titolo di questo secondo tomo biografico di Gerbi-Liucci, come "l'anarchico borghese".
Una definizione contraddittoria, spiegano gli autori (p. XI), ma in sintonia con quanto Montanelli diceva di sé ai suoi lettori. Pensando di essere la reincarnazione di quella "Destra storica" di Cavour e Quintino Sella (p. XIII) che fu un miraggio od un'illusione alimentata soltanto dal sogno di far resuscitare in Italia uno Stato laico.

[Del primo volume
di Gerbi-Liucci abbiamo parlato nel post "Montanelli, il bugiardo".]

[20.04.2009, anno IV, post n. 115 (835), © by Antonio Montanari 2009. Mail.]

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